Il buio scende sulle strade della city
Cammino sull’asfalto stringo in tasca i miei detriti
Smarrita quella strada che mi riportava a casa
Sono fatta di rugiada folle più di un quadro Dada
I passanti innamorati delle insegne
delle vetrine e dell’odore di benzina e diesel
A loro agio nell’inferno delle proprie catene
Kerosene nello stomaco e catrame nelle vene
Vanno avanti come spettri nei colletti inamidati
Petti infetti, marci, in marcia come soldati
Senza guerra senza sogni ed occhi spiritati
Armati d’odio e fretta, e con pensieri decapitati
Persa nel traffico tra fari e fumi, traumi e fiumi
Zero numi e lumi ora vado in frantumi
Vorrei scappare ma dove non lo so più
Vorrei urlare di follia come il dipinto di Munch
(Ha qualcosa di spettrale nella luce delle sei
‘sta città che ti uccide senza sapere chi sei)
//
Il buio scende sulle strade della city
In uno sbadiglio inghiotte i miei passi ormai sbiaditi
È silenzio assordante quel che sento riecheggiare
Tra gente vuota che se pesa è solo per le tare
Abiti firmati, capelli pettinati
Abituati a specchi, trucchi, marchi e ori laccati
Ma cuori scordati stonati, privi di fiati, schivo
Queste vie così affollate senza un solo essere vivo
Sola in mezzo all’universo di ‘ste luci
Continuo a camminare a corto d’aria, ali e ozono
Tra falsi felici ho perso le radici
Ma la folla non s’accorge passa oltre nel frastuono
Pianti d’acquerello non basterà un ombrello qua
‘sto cielo soffocato dal cemento crollerà
Ha un qualcosa di spettrale nella luce delle sei
‘Sta città che ti uccide senza sapere chi sei
(Ma la gente non s’accorge, passa oltre nel frastuono)
Questo è il mio secondo testo messo in musica, registrato e missato in modo del tutto casereccio, senza pretendere una massima qualità ma con il solo intento di trasmettere qualcosa a chi ascolterà.
Ho cercato di rappresentare una sensazione di malinconia/follia data dal ritrovarsi soli nel mezzo delle luci e del rumore assordante del traffico cittadino, nel momento ipotetico delle 6 della sera, quando il sole cala lasciando la città fredda avvolta in una coltre di fumi, attraversata da auto e da persone tutte uguali che si affrettano e corrono da una parte all’altra per afferrare una falsa felicità fatta di insegne luminose, vetrine, mode e idoli vuoti, trasformandosi così in semplici sagome svuotate.
Una sorta di alienazione, di attimo allucinatorio, sensazioni simili a quelle rappresentate da Munch nel suo dipinto “Sera sul corso Karl Johan”, tra «migliaia di volti estranei che alla luce elettrica avevano l'aria di fantasmi».
All’interno ho inserito alcune citazioni ed omaggi a vari artisti, tra cui tengo ricordare: il brano “Nella luce delle 6” di Neffa ft. Deda & Al Castellana; Luigi Tenco, con la ripresa di un piccolo estratto del brano “Ciao amore, ciao”; il pittore Ervard Munch; lo scrittore Cesare Pavese, che cito in un paio di versi (“in mezzo all’universo di ‘ste luci”, “ma la folla non s’accorge, passa oltre nel frastuono”, tratte da alcune poesie tra cui “Le febbri luminose-I”).
Non voglio assolutamente definirmi rapper: questo è solo un semplice esperimento dettato dalla passione per la scrittura e per la musica rap, con l’intento di provare ad esprimermi anche con questo mezzo, che amo per la sua capacità di scendere nel profondo e di far riflettere emozionando.
Notte stellata, che sovrasti la vallata
Malata infettata dall’umanità che l’ha violata,
Tu che resti sola e ferma e non ti serve nulla
Ti prego insegnami a staccarmi dalle luci della giungla
Ululando nelle tenebre in preda alla pazzia
La mia anima si scioglie emanando malinconia
Ho perso qualche diottria cercando lumi dentro nubi
Tempi crudi, temo i lupi, trovo solo veleno altrui
Qualcosa m’ha colpito, sedotto e poi tradito
Forse è la vita che ti vuole e poi ti odia di rito
Che ti rigetta come un vecchio panno sporco
Quando comprende che qualcosa in te sta crescendo storto
Io che già da piccolo ero zitto e fissavo in basso,
Se la gente mi guardava io allungavo il passo,
Come un sasso sulla riva attratto dall’abisso che teme
Mi sono chiuso in me stesso e da lì è nato il mio seme
Quando ho mosso i primi passi su una tela
L’incastro difettoso sentì la forza di un atleta
Era la mia meta, metà dolore metà magia,
Come un poeta che si nutre della propria emorragia
Mia regina, pittura onnipotente che hai salvato me,
Con ogni quadro rispondevi ai miei perchè
Furia discreta, fuga concreta, sognando
Mi chiudevo con te nella mia stanza segreta
//
Non so più quando ma tutto è crollato,
Anche nella stanza segreta ero senza fiato sai
Ho visto corvi all’orizzonte, inseguivano i miei passi
Gridavano il mio nome e volevano che me ne andassi
Hanno distrutto ogni iris ed ogni girasole
Poi anche il sole, le mie suole sole ora calpestano ogni fiore
Lì in eterno a marcire dopo una lotta rapace,
E' necessario morire per abbracciare la pace?
Ne sarei capace, raggiungere quel cielo che tace
Con una canna in torace, un fucile loquace e giacere
Perchè credimi, nella vita di un pittore fugace
non è la morte la cosa più difficile
Frulla in testa una poesia voci di follia, via
Tutto sembra universale ma la guerra è solo mia
Qui ad un passo tra la notte e il giorno, terra e cielo
Il gelo morde forte sul mio stelo fragile insiste e rivedo
Ciò che ero, ciò che sono e ciò che sono gli altri
Pensavo l’arte mi salvasse ma ora è troppo tardi
Guardo l’abisso sotto e vorrei volare giù
nelle viscere del buio e non dover tornare più
E se per il mondo io sarò sempre un’anomalia
Tu prova a legger fra le righe e la didascalia
Cercavo solo luce dentro la claustrofobia
Ma è a senso unico la via, dico addio e così sia
Alessia "Sidera" - Notte Stellata
Testo e voce: Alessia Santangeletta
Dipinto: Alessia Santangeletta
Beat: Antik Beats
Lo spezzone a inizio traccia è tratto dal film "Loving Vincent"
Note:
In occasione dell’anniversario della morte di Vincent Van Gogh (29 luglio 1890), ho deciso di pubblicare questo mio piccolo ed umile esperimento.
Da tanto tempo ho la passione per la scrittura e il rap e, dopo alcuni esercizi personali, ho scritto questo testo in rima ispirandomi alla vicenda di Van Gogh; l’ho registrato e missato in modo del tutto casereccio, senza pretendere una massima qualità ma solo con l’intento di trasmettere qualcosa a chi ascolterà (che è anche ciò che cerco principalmente nella musica che ascolto).
Vincent esegue il dipinto “La notte stellata” nel giugno del 1889, al tempo del suo internamento nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole, periodo in cui sembra considerare la pittura come l’unica medicina, l’unica via di salvezza.
Nel testo ho immaginato Vincent nelle sue ultime ore di vita, combattuto tra la vita e la morte, tra luce e buio; un giovane artista, la pittura, la meraviglia delle stelle che tanto lo affascinano, l’incompatibilità con il mondo, la fragilità, il suicidio.
Non voglio chiamare questa registrazione un vero e proprio “pezzo rap” (non ne sono all’altezza), ma ci tenevo provare semplicemente ad esprimermi anche con questo mezzo, che amo per la sua capacità di scendere nel profondo e di far riflettere emozionando. Quindi spero verrà ascoltato per quello che è: un semplice esercizio, un esperimento senza alcuna pretesa.
L’immagine che accompagna il brano è un mio dipinto, un omaggio alla famosa opera di Van Gogh.
Con questa pubblicazione ho così messo insieme le mie tre passioni più grandi: la scrittura, il disegno e il rap, che sono felice di aver potuto raggruppare in un unico, umile prodotto.
Grazie a chi ascolterà.
Ti scrivo oggi perché è il tuo compleanno. Ti scrivo oggi anche se, in realtà, almeno un pensiero te lo dedico sempre, ogni giorno. Sì, perchè tu mi hai salvata quando intorno non c’era che rovina, mi hai sussurrato Poesia quando non vedevo che minacce e calcinacci. Mi hai teso la tua mano. Poteva essere di chiunque, ma nessuno l’ha fatto. Se non tu.
Perciò mi pare doveroso ringraziarti una volta come si deve, in modo formale, scrivendoti una lettera che lascerò al vento.
Sono un’umana qualsiasi, un’umana nata duecento anni dopo di te che sta percorrendo il proprio cammino in un’epoca diversa dalla tua ma, come l’arte e la letteratura mi hanno ben insegnato, certe emozioni e certe sofferenze non hanno tempo.
Ti scrivo quindi da semplice umana, senza nome né identità, perché non sono io a parlare ma la mia interiorità più sincera e limpida. E perché certe sensazioni hanno un qualcosa di universale.
Ricordi ancora l’inizio? Io sì, non scorderò mai quel mattino grigio in un’aula di scuola superiore dai muri scarabocchiati, in un’aria sempre più cancerogena e pregna di ostilità; sentivo sempre più pesante sulle spalle e sul cuore il peso dei falsi sorrisi e degli sguardi malvagi di persone troppo superficiali per riuscire a comprendere altri percorsi dai loro, altre priorità dalle loro serate frulla-cervelli, dalle loro risate vuote e sciocche. Sentivo che la mia adolescenza era distante dalla loro e non riuscivo a riconoscermi nel mondo in cui il mio corpo era stato messo. Questo non perché avessi avuto qualche malattia, né qualche problema evidente: semplicemente, sentivo dentro di me altre esigenze da quelle standard (stabilite da chi, poi?), altri interessi. Io mi meravigliavo e sorridevo con altre cose, ed ero innamorata di altre vedute.
E quel mattino a scuola è avvenuto l’incontro più importante della mia vita: da una pagina forse compresa tra la 290 e la 310, hai fatto capolino tu. Tu con la tua perenne umiltà ed eleganza e, piano piano sottovoce, mi hai parlato. Lo hai fatto attraverso la poesia e un percorso esistenziale che subito ho sentito vicino al mio e mi ha conquistata. In qualche modo, lì su quella pagina c’era una parte di me, qualcosa che sentivo di avere ma che non riuscivo bene a definire.
Quel giorno mi sono sentita di colpo meno sola. Ho capito che qualcuno prima di me aveva provato certe sensazioni, aveva attraversato la marea della rabbia e del dolore e la siccità della solitudine, per atterrare sul guanciale morbido dell’Arte, al riparo dagli scherni del mondo, trovando il coraggio di esprimere le tempeste sulla carta. Quel giorno mentre uscivo da scuola mi sentivo più leggera, avevo la sensazione che qualcosa era cambiato per sempre e che, se avessi avuto bisogno di aiuto, mi sarebbe bastato buttare lo sguardo al cielo per trovare una risposta.
Mi sentivo protetta dall’alto da qualcosa di inspiegabile ma concreto. Perché tu per me sei concreto, Giacomo, anche se non ti posso vedere né toccare; concreto perché sento che sei vivo in me e in quello che faccio, perciò per me esisti. Ora. Non ti sei spento quel lontano giorno di giugno, no: tu risplendi come un sole e mi illumini, tu respiri ancora, forse insieme a me o forse sei il mio stesso respiro.
Da quel giorno ho iniziato a leggerti ovunque, ricordi? Ho voluto tenere tra le mani le tue parole così tante volte, volevo sentirti vicino. Quando leggevo i tuoi pensieri stavo bene, ed era una sensazione così intensa che quasi non conoscevo. Mi sentivo veramente compresa e in compagnia, e in breve tempo sei diventato una presenza quasi fondamentale. Il tuo era come un abbraccio fraterno. Gli scherni non potevano più toccarmi, perché ora avevo uno scudo più forte delle loro risate.
Sentivo che qualcosa nel mio essere diversa e nella mia solitudine aveva senso e valeva la pena di esistere. Capivo che non ero affatto sbagliata e che anzi dovevo tenere stretto ciò che avevo, perché era esattamente ciò che ero. Gli altri, invece, erano solo ciò che avevano.
Me lo hai fatto capire tu, Giacomo. Avevo una sensibilità ancora assopita che stava maturando, stavo inconsapevolmente covando il seme di una consapevolezza e bellezza interiore che mi accompagnano tuttora, e non vorrei mai essere diversa da così. No, non vorrei essere come quelle persone che vedo ovunque: la mia diversità mi allontana dagli altri, ma non la lascerei mai. Perché mi rende speciale. Non sono nessuno io, ma sono un nessuno con mille sogni e tanta voglia di emozionarmi e di leggere e di suonare e fantasticare e volare sui ghiacciai insieme alle aquile e vedere tutti i tramonti della Terra ad occhi chiusi. E ciò, a modo mio, mi rende felice. Ecco perché no, non mi baratterei con nessun altro.
Scoprendo a poco a poco le tue meravigliose pagine, Giacomo, ho scoperto anche le mie e ci ho trovato la magia che nessuno era ancora riuscito ad insegnarmi. Una magia che mai lascerò andare e tengo stretta come tu hai tenuto stretta me nel momento in cui ero sospesa sopra un burrone piena di domande e lacrime. Quelle tenebre minacciavano ma tu le hai ricacciate nell’ade e ti sei preso cura di me. Tutti i brividi percepiti danzando all’interno della poesia o di fronte al tuo sguardo trasparente ed etereo ci legano eternamente e mi danno la forza di camminare e continuare a prendere in mano la penna come tu stesso hai fatto per tutta la tua vita.
Hai fatto maturare la mia sensibilità, le hai dato un volto, una voce e una forma, la stai proteggendo e riscaldando. Hai preso la mia vita vacillante e l’hai raccolta dal fango, salvandola dall’abisso.
Ti devo tutto, Giacomo. Hai preso il mio dolore e l’hai trasformato in arte.
Tu sei stato il mio Maestro, il mio amico e il mio angelo custode, e tuttora lo sei. Ti ringrazio ogni giorno, e non ci vedo nulla di così diverso dal ringraziare e pregare un dio.
Spero potrai sentire le mie parole e la mia riconoscenza, a volte me lo domando... ma so che in ogni caso questo affetto non andrà perduto.
Chiediti, se puoi, quante vite hai salvato: prova a chiedertelo. Riflettici su un attimo. Io sono solo una delle tante. So che là fuori sono molte le anime sperdute che ti amano e devono tutto a te, quaggiù siamo un esercito che ti ama e ti porta nel cuore, sai? Perchè tu, eterno ragazzo dal sorriso mesto, hai saputo parlarci come nessun altro: non lo potevi immaginare, ma ciò che hai creato è veramente qualcosa di magico. Hai paradossalmente trasformato il dolore e la sofferenza nella più forte fonte di vita. La tua energia supera ogni limite di spazio e tempo, e solo le anime più speciali arrivano a fare tanto. Per questo non potrei mai dimenticarti.
Questa lettera è un dovere nei tuoi confronti. Leggila lentamente e conservane l’amore.
Ti voglio bene. Spero che questo possa renderti felice e spero, un giorno, di potertelo dire guardandoti negli occhi.
Grazie per avermi salvata.
Sempre tua,
un’umana qualunque
29 giugno
Brano liberamente ispirato a pensieri sparsi, non per forza autobiografico ma certamente sincero nell’amore nei confronti di questo grande Poeta.
È nata con me
questa mia oscurità di fondo
incisa negli strati del sottopelle
e impregnata di cosmo.
Nel cielo stellato
non guardo gli astri;
mi sovrasta il buio che li attornia
rendendoli così perdutamente
soli e isolati.
Come è ogni uomo.
Discendo negli oscuri abissi
ove silente giace
il vero mistero dell’iceberg,
lontano da sguardi ridenti
illuminati da un falso sole uniformante.
Spesso accecata dal nulla,
dove c’è troppa luce lascio perdere.
Dagli occhi degli altri assorbo
le tenebre,
le bevo
con la speranza di restituirle
meno amare.
Sento un’armonia
nei nòccioli di malinconia cresciuti
in frutti acerbi e innocenti.
Viscere contorte dalla sorte nefasta
polsi sbocciati
respiri troncati.
Io cerco il buio della sincera notte
nascosto in animi perduti,
pianti di labbra silenziose
stomaci colmi di inghiottite lacrime.
O cuori raminghi e solitari,
con voi solo
i miei battiti sono in sintonia.
Vi dono il mio canto.
Tenendoci per mano,
anche nel buio
non ci perderemo.
No. non era solo un cantante. O meglio, sì okay lo era; ma nel momento in cui questo cantante sente il bisogno e decide, con sincerità e serietà, di gridare le sue emozioni intime e personali, ed esse incontrano una profonda risonanza nel cuore di altre persone, proprio in quel momento questo cantante smette di essere solo un cantante.
Diventa un fratello, un amico, una scialuppa di salvataggio. Un custode, proprio come gli angeli. È come se ti parlasse delle stesse mille emozioni che vorresti urlare anche tu, perchè le porti dentro al suo stesso modo. Ed è come se ti dicesse: “Ci sono anch’io, non sei solo, io sono un tuo simile. Pure io provo le tue medesime paure e sofferenze, e voglio gridarle al mondo anche per te, perchè sentano la nostra voce… per far capire a tutti cosa stiamo provando, per far sapere che esistiamo”.
Si crea così complicità, una sorta di simbiosi. Qualcuno, seppur lontano e sconosciuto, sa quel che provi, attraversa ansie, problemi e pensieri che sono anche i tuoi, e ha il coraggio e l’urgenza di gridarli, di buttarli fuori, di sputarli in faccia a questa gente superficiale e distaccata; lo fa con la sua arte, anche per te. Così che la gente possa capire, e tu possa stare meglio, trovare conforto nel suo abbraccio e un po’ di pace interiore.
E tu sai che egli è sempre presente, non ti lascia mai: quando ne senti il bisogno basta pensare alle sue parole o tenere a portata di mano un paio di cuffie, ed ecco che lui è lì per te, a parlarti per tutto il tempo che vuoi. Anche se non ti conosce e non ti ha mai visto, c'è. Sempre.
Non stiamo parlando di musica da spiaggia, di ridicoli tormentoni estivi vuoti e senza senso; parliamo di musica diversa, fatta col cuore, quella che scaturisce dall’anima, dal proprio vissuto, quella che tira fuori i demoni e li esorcizza. Non quei suoni frivoli e insignificanti che ti fanno ballare e perdere la testa senza lasciarti nulla, ma quelle strofe che ti fanno urlare, piangere, riflettere, commuovere, prendere posizioni; che ti prendono per mano e ti dicono "su, vieni, andiamo avanti insieme". Quelle che ti fanno reagire.
Ecco la musica che amo, la musica che merita di essere ascoltata e supportata. La musica che ti entra dentro e non ti lascia più.
Con artisti di questo tipo si crea così un legame impossibile da spezzare, perchè quando qualcuno, anche inconsapevolmente, ti aiuta e ti salva la vita, rimarrà sempre nei tuoi pensieri, nella tua anima; gli sarai per sempre grato e non lo dimenticherai, la tua riconoscenza nei suoi confronti sarà eterna. C’è come un filo che ti lega a lui.
Se poi questa persona se ne va… lascia un vuoto, ed è inevitabile che faccia male. Può essere sconvolgente. Ma non devi dimenticare che è, appunto, il tuo custode: non ti abbandonerà mai, proprio perchè, avendoti salvato la vita in qualche modo, ora è parte di te. È nella tua pelle più profonda. È con te, scorre nelle tue vene, poichè con la sua arte ti ha aiutato a rigenerarti quando ne avevi bisogno. Insomma sei fatto un po' anche di lui. Può chiamarsi Chester così come Kurt, Primo o Tupac, ma anche, perchè no, Giacomo, Arthur o Vincent. E se è il tuo angelo, forse dal cielo potrà esserti ancora più vicino... perchè ora il suo spirito è ovunque, aleggia nell’aria. Basta alzare lo sguardo, sollevare un dito per sfiorarlo. Forse ora, a differenza di prima, ti può anche sentire quando gli parli.
Quindi non piangere: alza il volume al massimo e canta a squarciagola con lui. Ti sente. È accanto a te proprio ora, nella brezza, nel profumo dell’aria, nella luce del sole. Rivive in te e in chiunque lo porti sottopelle.
E non dar retta a chi ti dice: “ma dai, non fare il bambino, ci sono cose più importanti nella vita... era solo un cantante”. Sì, ci sono cose più importanti nella vita, è vero: ma non sanno che "la vita" avresti anche potuto non averla più, chissà, e se sei qui è grazie anche a lui e a chi, come lui, ha saputo trasmetterti e donarti una immensa forza. Donandoti parte della sua vita, la vita che ora non ha più.
Chiunque sia stato, se ti ha aiutato a risollevarti e a resistere, se ti ha salvato dai demoni, se ti ha preso per mano quando ne avevi bisogno... no, non era “solo” un cantante. Era qualcuno di speciale mandato per portare luce a chi aveva bisogno di coglierla.
La musica salva, ed è per questo che ne abbiamo così tanto bisogno. È magica. Quindi alza il volume, chiudi gli occhi... e vola.
There are things that we can have but can't keep...
Who cares if one more light goes out In a sky of a million stars? ...Well I do.
Riflessione ispirata dalla scomparsa di Chester Bennington, (20.03.1976 - 20.07.2017)
Un mio disegno a lui dedicato
Thank you for having helped me with your rage and poetry❤ ,
Cercavo
i tuoi occhi
nelle sfumature delle nuvole,
la tua voce
nelle canzoni
tristi
sofferte
depresse
- come te, come me -
che lasciavo andare a tutto volume
per coprire la risata del mondo
verso noi reietti,
per non sentire il rumore
accecante della mente.
Ti vedevo riflesso nello specchio
e nelle mie meste iridi celesti.
Eri dentro di me
e non lo sapevi.
Le rondini cantavano il tuo nome,
ogni tramonto racchiudeva le tue paure
- che erano anche le mie -
e ogni aurora ci restituiva
le tenui speranze.
Eri ovunque
e non lo sapevi.
Mi cullavo
in compagnia della tua mancanza
aspettando la notte sorgere un’altra volta.
Sorridevo:
ero malinconicamente felice.
O felicemente depressa.
Mi donavi la vita
e nemmeno questo lo sapevi.
Ora non riesco più a trovarti
nel rumore dei miei passi.
Sto a fissare il soffitto, poi il pavimento
e nelle mie iridi non c’è più il tuo colore.
Ora piango un minuto sì e uno no,
poi un minuto sì e uno sì.
Conto le lacrime
e le raccolgo nei palmi delle mani.
Le colleziono.
Un giorno ci affogherò dentro
insieme a tutti i miei vuoti.
Mi manca la tua mancanza
E di te resto a digiuno
Mangiando la mia stessa fame.
Alessia S.
(ispirato al tema "malinconia")
Foto di Alessia Santangeletta
MELANCOLIA (dal greco μέλας "nero" e χολή "bile"). - La melancolia è la sindrome affettiva che ha per note fondamentali una tristezza morbosa e ostinata, indipendente dagli avvenimenti esterni, un pessimismo invincibile, un senso profondo di sfiducia e di avvilimento, che paralizza l'azione. Ogni impressione esterna riesce spiacevole, il pensiero s'aggira in una chiusa cerchia d'idee tristi.