Vi amo, gente. Vi amo tutti.
È una frase che mi ripeto ogni giorno, come un mantra. Ogni mattina quando apro gli occhi su questa landa solitaria e silenziosa, vado a ripescare nella mente queste parole e, finché le ritrovo ancora, sorrido. A dire il vero amo tutto, indistintamente. È questo che bisognerebbe fare nella breve vita, no? Amo il cielo e il sole che lo illumina, amo le piante e i frutti che mi donano, amo questa piccola baita in cui mi sono rinchiuso mesi fa. Amo la vita che vedo muoversi intorno a me, amo la mia vita e ogni respiro che prendo. Il bene più prezioso che porto dentro è senza dubbio l’amore. A voi sembrerà poco, forse non mi capirete, ma io sono felice di amare e ho mille motivi per esserlo. Anche se oggi – be’, oggi – mi sento un po’ strano, lo ammetto.
Circa un anno fa ho sentito parlare per la prima volta di una cosa spaventosa che sta cambiando l’intero mondo: un nuovo tipo di virus, potentissimo, capace di contagiare qualsiasi essere, vivente e non. Lo hanno chiamato “il virus dell’odio”, perché in effetti tutto ciò che viene colpito da questa strana infezione sviluppa in breve tempo una sorta di reazione anti-vita, anti-amore. Non è una malattia nel vero senso della parola, ma gli effetti sono disastrosi e irreparabili. L’acqua ribolle e si fa burrascosa, la terra arida e sterile, l’aria irrespirabile, le piante producono rovi al posto dei frutti, gli animali imbizzarriscono e non si riproducono più; persino il metallo arrugginisce, il cemento si sgretola. I naturali cicli della natura si stanno arrestando e con loro tutto il resto. Il mondo come lo conosciamo sta velocemente cambiando faccia e risulta sempre più invivibile. Anche le persone non ne sono immuni: all’inizio il virus si manifesta con nervosismo, rabbia, insofferenza, freddezza, e a poco a poco arrivano egoismo, aggressività, violenza. Ci si dimentica dei propri cari, si scordano i legami, gli affetti, persino i nomi e i volti della propria famiglia.
La macchia d’odio si sparge ovunque, ormai quasi tutto il pianeta ne è infetto. Avanza silenziosa, all’inizio invisibile agli occhi, ma devastante appena prende il sopravvento e trasforma ogni pezzetto di mondo in un presagio di morte e distruzione. Scoppiano litigi e guerre in continuazione, gli omicidi sono all’ordine del giorno e la società è allo sbando.
Per questo motivo, precisamente novantanove giorni fa – tengo un diario dove mi appunto ogni singolo giorno d’amore che trascorro come fosse un miracolo – sono fuggito dalla mia città, dalla mia casa, dai miei cari.
Ero arrivato al punto di viaggiare sempre con la mascherina, cercavo di non stare troppo vicino a nessuno, di lavarmi spesso, di non mangiare cibi di cui non ne conoscevo la provenienza, anche se immaginavo non sarebbe servito a molto poiché mi rendevo conto che il virus poteva nascondersi anche nella stessa mascherina che usavo, nella stessa acqua con cui mi lavavo. Avrei voluto scappare, portare via con me i miei cari, ma ho sempre rimandato perché sapevo che intanto non sarebbe stato facile trovare un posto veramente sicuro. Ne sarebbe valsa la pena?
Poi una mattina mio figlio non ha più risposto al mio saluto, mia moglie mi guardava con gli occhi sbarrati come fosse di fronte a un’apparizione diabolica. Si è messa ad urlare di stare lontano da suo figlio, altrimenti mi avrebbe ucciso; poco dopo però ha smesso di riconoscere anche suo figlio, ha cercato di colpire entrambi con qualsiasi oggetto e alla fine ha sbattuto la porta e se n’è andata. Mio figlio l’ha seguita con gli occhi iniettati di sangue, non perché riconosceva in lei sua madre ma semplicemente perché anche in lui si stava muovendo il virus che lo avrebbe reso una bestia selvatica e violenta, e ormai la casa gli stava stretta. Sono rimasto con gli occhi pieni di lacrime e un nodo in gola a fissare il tavolo della cucina dove fino all’alba del giorno prima avevamo consumato la colazione tutti insieme. Ho pianto, seduto a terra in un angolo della stanza.
In poche ore quasi tutte le persone che conoscevo avevano completato quella sorta di inesorabile metamorfosi, mentre io aspettavo di sentirmi ostilità e cattiveria nascere dentro da un istante all’altro, prendere vita come una belva feroce per trasformarmi in un ennesimo grumo d’odio in giro per le strade. Pensavo all’immagine di mia moglie e mio figlio e mi aspettavo di vederli svanire dalla mia memoria, dimenticati per sempre. Invece no, loro continuavano ad essere presenti nei miei ricordi, le loro voci mi risuonavano ancora nella mente come una eco lunga decenni. Continuavo ad amarli, nonostante tutto.
Allora ho deciso di fuggire: non sapevo come avrei fatto ma, se riuscivo a non farmi contagiare, non li avrei dimenticati. Con me non ho preso nulla per ridurre le possibilità di portarmi dietro il virus, me ne sono andato con i soli vestiti indosso, il diario su cui sto scrivendo e il mio grande bagaglio di ricordi e amore. Ho camminato giornate intere verso nord, alla ricerca di un luogo potenzialmente incontaminato: quando lo trovi lo capisci subito, perché vedi la vita brulicare, il cielo azzurro non oscurato dall’aria malsana, il volo degli uccelli, le farfalle che si posano sui fiori, i frutti sugli alberi. Senti l’amore profumare l’atmosfera. Non sai quanto durerà questa purezza, certo, ma sai che potrai tenere lontano il pericolo almeno per qualche ora in più. Consolazione misera o immensa, fate voi.
Ebbene, non è stato facile, ma l’ho trovato. Qui, in questa valle sperduta, mi sono costruito una piccola casupola dove ora vivo protetto in una delle poche bolle d’amore rimaste. E amo questo posto, lo amo perché mi è apparso come un’oasi di salvezza in mezzo all’inferno e mi ha accolto. È il mio rifugio, e ogni volta che mi guardo intorno mi sembra di essere in un pezzetto di paradiso. Finché provo tali sentimenti, posso dire di essere salvo. Ma oggi – be’, oggi – mi sento un po’ strano.
Non so dire come avvenga il contagio: probabilmente per via aerea, come un raffreddore, ma spesso anche tramite il cibo, sicuramente: animali e piante in fase di incubazione del virus entrando in noi depositano il seme dell’odio. È molto potente e violento, non c’è dubbio, e soprattutto non c’è rimedio.
Come è stata possibile una sciagura del genere? Alcuni dicono sia un esperimento bellico sfuggito al controllo, ma io credo – e non soltanto io – che tutto questo sia nato dall’odio che noi tutti abbiamo coltivato verso ogni cosa, prima fra tutti la natura, per decenni. Disboscamento, concimi chimici, pesticidi, incendi dolosi, inquinamento di aria, acqua e terreni, smog, veleni vari, uccisioni incontrastate di animali, esperimenti di ogni tipo. Ovvio che ad un certo punto la natura non ne può più e in qualche modo cerca di ribellarsi: e il momento è arrivato. L’odio che abbiamo dato ci viene restituito. Avemmo dovuto capirlo prima, fermarci quando ancora eravamo in tempo… Ah, non pensarci, mi ripeto, non pensarci. Ma come fare a non pensarci? Oggi – sì, oggi – mi sento proprio strano.
Questa mattina ho mangiato una mela raccolta dal solito albero a fondovalle, e ora ho visto che un ramo di quell’albero si è trasformato in un groviglio inestricabile di rovi e spine, e le mele rimaste sono marcite…
Il sole sta tramontando su questo novantanovesimo giorno, è bellissimo, il cielo è terso e l’aria profumata, ma io continuo a pensare che il disastro avanza ed è tutta colpa di noi uomini – la cosiddetta razza intelligente – e i nostri guadagni prepotenti ed egoistici. Come abbiamo potuto continuare ad essere a tal punto senza cervello e senza cuore per tutto questo tempo? Quanto siamo stati egocentrici ed indifferenti a quel che sarebbe successo? Chi siamo noi per fare questo all’ambiente che ci accoglie ogni istante della vita e tutto ciò che lo popola? Ecco, ben ci sta, ce lo meritiamo… Noi, razza ignorante e vanitosa, siamo forse degni d’amore? No, non posso dire di amare tutti… come potrei?
Ah, mia moglie, mio figlio! Se solo potessi riabbracciarli, se solo mi potessero riconoscere! Degli altri non mi interessa, basta, sono stanco di pensare a quanto ami tutti gli altri, ma loro! Potessi rivedere soltanto loro!
Sarà la notte che avanza, sarà il buio che è così soffocante stasera, ma io mi sento strano ora, molto strano. Non so perché oggi sono così. Non riesco più a capire bene, c’è qualcosa che non va in questo novantanovesimo giorno. Quell’albero, laggiù… e poi i contorni delle cose e dei ricordi si fanno offuscati. Sarà il sonno… ecco quello che ci vuole, sì: una bella dormita. Domani mattina sorgerà il mio centesimo giorno di esilio, oltrepasserò questo miserabile traguardo e sarà tutto a posto.
Stupidi uomini, perché avete fatto questo? Mi avete strappato la mia famiglia, mi avete costretto a scappare in un posto che non so nemmeno dove si trovi, a vivere come un eremita per il resto dei miei giorni. Ora cosa farò? Ah, dormi, su. Domani starai meglio.
Se c’è una cosa che dovete fare è amare, gente. Amare finché potete. Amare finché siete in tempo. Persone, piante, fiori, fiumi, montagne, valli, nuvole. Amare. Il mondo che vi circonda lo percepisce e ne risente, fidatevi.
Dormi.
Ma non riesco a dormire, penso troppo. Le stelle non si vedono e la luna che sorge ha un colore rossastro. Mi fa pensare al sangue. Sì, ora sto pensando ad un fiume di sangue che dalla luna viene verso me e mi soffoca. Questa luna tetra si innalza e io sono qui solo, lontano da mio figlio.
Uno strano vento si è alzato e fa scricchiolare ogni cosa, persino il mio cuore. È piena notte e non capisco cosa ci faccio in questo luogo che non amo perché non mi appartiene, perché me ne sto qui invece di ritornare da…
Gente, ascoltatemi vi prego: date amore finché l’avete. Amate e rispettate ciò che siete e ciò che vi sta intorno. È l’unica cosa che so in questo momento. Poi, chissà.
Non capisco che mi succede, la luna è grandissima e sta sanguinando, ho i brividi e vorrei spaccare questa casupola marcia perché non mi appartiene, e io non ricordo il viso di… Ah! Eppure lo amavo così tanto! Lo amavo, lo amavo… lo am…
Mi scende una lacrima mentre prendo a pugni la casupola, il terreno, i tronchi degli alberi. Una lacrima amara, che subito sparisce, portata via da una ventata di rabbia. Non so più chi sono, non riesco a ricordare più niente e niente ha più un significato. Ora strapperò anche questo inutile diario, lo brucerò, lo maledirò. Maledirò ogni singola stupida parola che ho scritto, la mia vita intera, il genere umano intero. E batto, trafiggo, colpisco, distruggo tutto ciò che trovo, perché lo disprezzo, sì… lo detesto… lo odio.
Oh, sì. Vi odio. Vi odio tutti quanti.
Alessia S.
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